Neko, capitolo 1

1. L’incontro

9 aprile 2016, ore 08:00, spiaggia Porto Botte, Sardegna

Il mare non era calmo e piatto come di consueto a quell’ora. Un vento di maestrale a una decina di nodi e delle leggere correnti lo increspavano dando la certezza ad Alessio che quel giorno non sarebbe stato facile allenarsi. Bene così. Del resto, lui era lì per incrementare la sua resistenza nelle gare di fondo e il mare mosso avrebbe di certo fatto lavorare la sua muscolatura al meglio. Oramai i campionati Regionali se li era lasciati alle spalle, vincendo la maggior parte delle competizioni alle quali aveva partecipato e con tempi che gli avevano garantito l’accesso ai Nazionali. Leader indiscusso sui 1500 metri, si era difeso bene anche in distanze a lui meno congeniali, trionfando in due delle tre gare degli 800 a cui aveva preso parte. I campionati Nazionali erano però più tosti. Dopo aver passato l’intero inverno in piscina, macinando una ventina di chilometri alla settimana, adesso era giunto il momento di riportare tutto quell’allenamento in acque aperte. Le competizioni erano previste per il mese di luglio, qualcuna nei laghi, le più lunghe e importanti in mare. Esclusa la finalissima dei 1500 stile libero che si sarebbe svolta nell’impianto olimpico della capitale.

Giunse in fondo al lungo rettilineo sterrato di Porto Botte e andò a parcheggiare la Ducati Multistrada nei pressi del vecchio ponte di legno sul canale che divideva le due rive di quella splendida laguna. Per quel giorno la sua intenzione era raggiungere la seconda spiaggia di Is Solinas e tornare indietro, percorrendo poi in entrambi i sensi anche la prima. Una distanza pari a otto chilometri circa. Osservando le onde, dubitava di poterci riuscire sotto le tre ore come si era ripromesso. Prese la sacca con la sua attrezzatura e, inserito l’antifurto alla moto, si diresse alla scogliera. Cielo limpido, nessuna nuvola. Solo una leggera brezza. Almeno per oggi la pioggia l’avrebbe scampata.

Un maestoso falco reale planò alle sue spalle e, passando ad una ventina di metri dalla sua testa, giunse al mare aperto attraversando poi la laguna per tutta la sua lunghezza. Soddisfatto, il rapace tornò indietro e, dopo uno sfuggevole sguardo all’umano, riprese quota sparendo alla vista. Alessio, ammirando quello splendido animale, arrivò alla spiaggia, si levò le scarpe percependo la sabbia ancora umida. In prossimità delle rocce a ridosso del canale si sentì salutare: “Ciao, campione”. Lui alzò il braccio e contraccambiò mentre l’anziano gli andava incontro tutto sorridente.

“Alessio, ragazzo mio, tu dovevi nascere pesce. Passi più tempo in acqua che fuori”, disse il vecchietto che da almeno dieci anni tutte le mattine andava a correre in quel lido.

“Buongiorno Ubaldo. Tu dovevi nascere vagabondo… Passi più tempo qui che con la tua signora”.

La risata sdentata del corridore portò allegria a entrambi. “Allenamento anche oggi?”, chiese Ubaldo osservando scettico l’acqua.

“Già… Mi tocca… Le gare sono fra tre mesi. Non manca molto”.

Il vecchietto storse il naso: “Eh sì. Non sarà semplice con queste onde. Anche a me dà fastidio questo venticello”.

“Beh, allora buona corsa. Io mi preparo ed entro”, e con un saluto affettuoso Alessio riprese la via per gli scogli, mentre il vecchio, sistemato il cappellino, ricominciava a correre su quella sabbia finissima.

All’ultima roccia Alessio posò la sacca a terra e iniziò a spogliarsi. Indossò una muta corta e si passò dell’olio di canfora sulle braccia e sulle gambe scoperte. Allacciò il cronografo subacqueo, dispositivo che gli consentiva di tener conto del tempo trascorso e che a intervalli regolari di due minuti emetteva un segnale acustico. Ripose i vestiti nella sacca e la mise tra due rocce. Un nascondiglio difficile da scovare, a meno che non si avesse la fortuna di ritrovarcisi proprio sopra. Abbassò gli occhialini e si tuffò. “Almeno non è ghiacciata”, pensò mentre con due gambate a delfino riemergeva. Nessuno in acqua a parte lui. Meglio così. Poteva restare più vicino alla riva senza doversi per forza tirare dietro il pallone arancione di segnalazione. Regolò il cronografo e partì per l’ennesima mattinata di fatiche. L’acqua era limpidissima e a quell’ora pullulava di pesci di ogni colore e forma. Quella vista rendeva piacevole l’allenamento in mare. Alla seconda ora era già alla fine della prima spiaggia e si accingeva a percorrere l’ultimo tratto che l’avrebbe riportato alla scogliera. Le onde parevano aumentate e nuotare controcorrente risultò davvero impegnativo. Un ultimo sforzo e arrivò a destinazione, comunque sotto le tre ore. Soddisfatto, azzerò il cronografo e uscì dall’acqua accomodandosi sopra il nascondiglio. Recuperò la sacca e la mise di fianco. Ne estrasse una bottiglia di Gatorade e la scolò tutta in pochi secondi. Mangiò delle barrette energetiche e si sfilò la muta, riponendola ad asciugare su un masso al suo fianco. Il sole si era alzato e la temperatura dell’aria superava i ventisei gradi. Non si stava affatto male. Mentre provava a rilassarsi esausto, si sentì salutare: “Ciao”, disse una voce briosa alle sue spalle. “Tu sei l’umano che mi accompagnerà nell’isola”.

Alessio confuso si voltò rimanendo senza parole. Sul masso alle sue spalle una giovane donna seduta con le gambe incrociate e le mani sotto il mento lo osservava sorridente. Rasata a zero con due occhi grandi e azzurri come il cielo sopra di loro. Scarpette da ginnastica, jeans tagliati sopra il ginocchio e una canottiera nera aderente. Nonostante fosse totalmente calva, Alessio non ricordava di aver mai visto una donna tanto bella. L’emozione s’impadronì di lui che poté solo rimanere imbambolato ad ammirarla.

“Parli? O sai solo nuotare?”, lo incitò rendendosi conto della precaria situazione in cui si trovava il nuotatore. Alessio si alzò e le si avvicinò titubante. Le girò tutt’intorno cercando di capire se fosse una visione o una sirena salita in superficie dopo essersi svitata la pinna. Non si era mossa di un millimetro da quando l’aveva vista. La ragazza chiuse gli occhi e attese pazientemente che la sua analisi terminasse. Alessio le si inginocchiò di fronte portando gli occhi all’altezza dei suoi. Quando questa li riaprì, tutto quell’azzurro lo mise nuovamente in imbarazzo. Si impose di reagire e chiese: “Da quanto sei qui? Non credo di conoscerti…”

Lei negò con la testa: “Sono arrivata appena sei entrato in acqua”.

“Come? Sei qui da tre ore? A far cosa, se non sono indiscreto?”

“Ti aspettavo”, replicò disinvolta.

Alessio era sempre più confuso. Aspettava lui? E perché, se neanche si conoscevano? Qualcosa non tornava in quella sventola: “Sei certa di dover aspettare proprio me? Non è che mi confondi con qualcun altro?”.

La ragazza confermò con un sorriso: “Sì, aspettavo proprio te. Alessio, vero? Alto 192 centimetri, capelli corti castani, occhi nocciola, abbronzatissimo e utilizzi un mezzo di trasporto con due ruote”.

“Brava, si chiamano motociclette… E tu come fai a saperlo? Che giro in moto intendo”.

“Alessio, prima di sceglierti, ho verificato le tue caratteristiche e le tue abitudini”, e alzò le spalle come se fosse la normalità.

Lui sbiancò: “Scegliermi? Tu mi hai scelto? Un po’ di romanticismo ti farebbe bene”, replicò sconvolto di aver appena conosciuto colei che, senza chiedergli nulla, si stava proclamando sua consorte.

La ragazza gli sorrise nuovamente e divertita precisò: “Aspetta! Aspetta! Non intendo che ti ho scelto per l’accoppiamento. Io ti ho prescelto come mio accompagnatore per la missione che devo portare a termine qui nell’isola”.

Alessio tacque sbalordito. Per quanto fosse splendida, chi diavolo le dava il diritto di decidere che dovessero diventare colleghi? Di qualsiasi missione si trattasse lui doveva allenarsi per i Nazionali e non aveva certo tempo da perdere con lei. Ma era curioso e i suoi occhi parevano fungere da rilassante ogni volta che li incrociava. Lo ipnotizzavano impedendogli di arrabbiarsi come forse sarebbe stato giusto fare. Doveva capirci di più. Lei parlava come se fosse già tutto scritto e deciso, ma lui non aveva idea in che modo avrebbe potuto aiutarla.

La ragazza si alzò: “Entro in acqua anch’io. Aspettami… Non resto tanto”, e iniziò a sfilarsi la canottiera. Si liberò delle scarpette e slacciò il bottone dei jeans lasciandoli poi ricadere sulla roccia. Statuaria, semplicemente perfetta.

Alessio deglutì a quella vista. Poi balbettò: “S-scusa, reggiseno e slip bianchi? Quando uscirai saranno tutti trasparenti. Ma non hai un costume come tutti?”

“Questo è anche un costume”, lo informò, “E non diventa trasparente quando è bagnato. Sono di un tessuto creato apposta per noi Viaggiatori”.

Alessio si arrese: “Beh, se hai messo la biancheria intima dei Viaggiatori, accomodati pure”, e indicò il mare di fronte a loro.

“Grazie”, e senza aggiungere altro, con un tuffo elegante la ragazza entrò in acqua. Lui rimase compiaciuto dalla grazia e dallo stile che aveva mentre nuotava. Veloce e pulita nella bracciata, pareva non faticasse anche se manteneva un ottimo ritmo. La vide immergersi un paio di volte prima di far ritorno alla scogliera. Alessio si affrettò a recuperare un asciugamano dalla sacca e glielo porse appena uscì. Lei lo rifiutò e si sdraiò su un masso piatto ad asciugarsi. Lui le si mise di fianco sdraiandosi a sua volta.

Attese qualche secondo ascoltandola riprendere fiato e iniziò: “Senti, ricominciamo, che credo di essermi perso un po’ di pezzi”. A mollarla lì e andarsene non riusciva proprio, quindi chiese: “Come ti chiami?”

“Il mio identificativo è Neko. Chiamami così”.

“Neko? Carino. Non è proprio un nome di queste parti. Dovrebbe significare gatto. Ma non ricordo dove…”, replicò pensieroso.

“Una terra che voi chiamate Giappone”, lo informò lei.

“Tu arrivi da lì?”

“No, da lassù”, e Neko indicò un punto nel cielo. Alessio seguì la direzione del suo braccio ma non vide nulla che potesse dargli una risposta.

“Intendi che sei arrivata in aereo, in elicottero, o ti sei lanciata col paracadute?”

Neko negò: “Se osservi bene, perfino ora che è giorno, vedrai che c’è un pianeta. Voi lo chiamate Venere. Io arrivo da lì. Anzi quella è stata l’ultima tappa prima di arrivare qui. In realtà io vengo da un pianeta ancora più lontano non visibile dalla terra. Il suo identificativo è Vermega”, e attese ulteriori domande.

Alessio fischiò: ‘Cavolo, questa è fuori di testa. Chissà da quale manicomio è scappata. Peccato, perché è davvero bellissima. Forse è il caso che chiami la polizia’, pensò alzandosi e aprendo dispiaciuto la sacca recuperando l’iPhone.

“Perché hai preso il comunicatore?”, chiese accigliata appena notò l’apparecchio, “Mettilo via e torna qui”, ordinò assumendo un atteggiamento quasi militare.

Alessio cercò le parole più adatte: “Senti fanciulla… Capirai che per me è un po’ difficile credere alla tua storia”, e fissò il telefono stretto in mano. Lei chiuse gli occhi e indicò lo spazio libero alla sua destra: “Alessio, questo tuo stupore io l’avevo previsto. Ora ti spiego ma vieni qui vicino a me”, concluse con aria dolce ma ferma.

Lui ebbe un attimo di indecisione, sbuffò: ‘Va bene. Vediamo ora cosa altro s’inventa la signorina senza capelli’, e ridacchiando obbedì, non riuscendo proprio a chiamare le forze dell’ordine. Comprendeva che lui non poteva far nulla per quella ragazza e provava pena per lei. Comunque le avrebbe almeno concesso un po’ di tempo per lasciarla parlare. Perché doveva negarglielo? Era poco ma lui poteva solo quello. “Sono tutt’orecchi. Racconta”, e si accomodò al suo fianco provando un brivido quando le sfiorò il braccio. Allungò una mano senza rendersene conto e le accarezzò la spalla. Lei non si mosse. Rimase immobile con gli occhi chiusi. Aveva una pelle scura, liscia e vellutata. Pareva finta da quanto era perfetta.

Neko si voltò, aprì gli occhi folgorandolo: “Ora mi ascolti?”, e iniziò il suo racconto. Parlò per mezz’ora e Alessio rimase in silenzio senza perdersi nulla, infine concluse: “Quindi io sono un’umana esattamente come te. Ho la tua stessa età, ventidue dei vostri anni terrestri. Sono del sesso opposto al tuo e ho tutte le caratteristiche genetiche che mi classificano come un umano”, e si toccò la testa, “Dove vivo siamo tutti senza capelli. È una conseguenza delle condizioni climatiche. Li abbiamo persi da migliaia di anni”, e tacque richiudendo gli occhi. Alessio si mise seduto fissando il mare disorientato. Di tutto quello che aveva udito niente aveva senso. Neko però gli sembrava sincera. Se era pazza, doveva essere una pazza professionista.

La ammirò per la centesima volta. Poi domandò: “Scusa, ma se porti la biancheria multifunzione di questi Viaggiatori, perché avevi jeans e scarpette, oltre a quella canottiera tutta sgualcita?”

“Non potevo presentarmi a te con la tuta dei Viaggiatori. Ti saresti spaventato”.

“Capisco. Sicuramente quegli abiti ti stanno meglio di qualsiasi tuta, anche se non ne ho mai vista una”.

Neko aprì un sorriso che insieme a tutto quell’azzurro sotto le ciglia la facevano apparire quasi una Dea: “Dove mi porti a nutrirmi? Dove vi nutrite da queste parti?”, domandò cambiando discorso mentre recuperava i suoi vestiti.

Lui si grattò la testa: “Nutrirti? Intendi mangiare?”, chiese, “Non saprei, non conosco i tuoi gusti”, farfugliò ormai rassegnato che quella meraviglia non l’avrebbe mollato tanto facilmente.

“Alessio, decidi tu. Io sono qui per studiare anche la vostra alimentazione”.

Lui parve incerto: “Ok, ci penso io”, e indicò alle sue spalle, “Però andiamo con quell’affare di locomozione che ha solo due ruote. Dalle tue parti non le usate? Si chiamano motociclette, dovesse servirti per le tue ricerche”.

Neko agitò una mano in aria: “Qualcuna, ma solo per competizioni comuni. Le abbiamo dismesse parecchio tempo fa, quando abbiamo inventato i mezzi a cuscinetti ad aria e i sollevatori magnetici”, e dolcemente lo spinse, “Adesso però andiamo che ho bisogno di nutrirmi”.

“Si dice ho fame”, suggerì Alessio frastornato ma divertito, recuperando la sacca e dirigendosi alla Ducati.

Ubaldo scorgendo l’amico in dolce compagnia si rannicchiò dietro a una barca abbandonata sulla sabbia per non apparire invadente. Rimase senza fiato alla vista della ragazza senza capelli e sempre con la sua risata sdentata si allontanò: “Certo che se ha pescato una così da domani smetto di correre e riprendo a nuotare anch’io”, e sorrise, “No… a settantacinque anni è già tanto che corro. E poi io ho la mia signora”, e sempre ridacchiando prese la strada per casa.

2 commenti su “Neko, capitolo 1”

  1. Ciao Roberto, sono Patrizia, la fantascienza non è il mio genere. Comunque la scrittura è chiara e il testo scorrevole

  2. vincenzo vincenzo taras

    ciao roberto, come ti dissi già in privato ma: giustamente lo dico anche qui, il romanzo l’ho ritenuto semplicemente stupendo! non nascondo che in certi punti mi ha commosso profondamente. affronti indubbiamente una tematica ancora oggi scottante ma ritengo che ci si debba aprire al fatto che gli extraterrestri sono una realtà ormai conclamata. e per dirlo il governo americano il quale è sempre stato ultra abbottonato su certe tematiche, vuol dire che siamo vicini alla rivelazione. ancora complimenti vivissimi.

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